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Lo stemma civico della città di Erba

Ultima modifica 4 aprile 2019

Lo stemma civico della città di Erba è così descritto: scudo bipartito sormontato da una corona murale. La parte sinistra dello scudo porta la croce rossa in campo bianco. La parte destra porta inferiormente una parte di colore verde, simbolo del verde del piano d’ Erba. E poi la torre sormontata dall’ancora in campo azzurro. L’ancora potrebbe voler dire: saldezza e tenacia. La corona murale è dalla fine del ‘700 simbolo dell’autonomia cittadina.
La sua realizzazione viene attribuita ad uno studio araldico dell’architetto Majnoni (che era stato proprietario della villa e del parco Majnoni, aveva curato e rinnovato l’arredamento della Villa Reale di Monza ed era considerato il fiduciario nel campo dell’arte del re Umberto I).
Nello stemma troviamo riassunti due fra i più importanti avvenimenti della millenaria storia di Erba: l’unione dei due comuni di Erba e Incino compiuta nel 1906 (lo scudo rossocrociato era il simbolo di Erba; una torre, anche se di diversa fattura compariva nello stemma della Pieve di Incino); e la battaglia di Tassera del 9 agosto 1160, nella quale Erba diede un contributo decisivo alla vittoria di Milano contro l’imperatore Federico Barbarossa e ne ricevette in cambio l’onore di fregiarsi dello stesso stemma della città di Milano.

Ecco come il prof. Angelo Bassi, insigne figura di studioso della città di Erba, narra l’episodio in questione, nella sua Herbensis Historiae: “Nel 1154 l’imperatore di Germania Federico I, detto Barbarossa, scese in Italia con un potente esercito per togliere ai Comuni la loro libertà. Così cominciò una guerra che durò 22 anni: dal 1154 al 1176. Fu durante questo periodo che avvenne il fatto più importante e glorioso della storia di Erba.
Adescati dalle promesse e dall’oro del Barbarossa, i Comuni del Piano d’Erba si erano staccati dalla loro alleata Milano.
Troppo facilmente avevano posto dimenticanza ai saccheggi, alle stragi e agli incendi con cui due anni prima Federico aveva devastato il loro paese. Ma pronta piombò sugli obliviosi la vendetta di Milano e pronto fu il rinsavimento e onorevolissima l’ammenda degli Erbesi.

Contro di essi mossero le milizie delle tre porte: Vercellina, Comasina e Nuova; invasero la Martesana e presero i castelli di Cesana, Cornate, Erba e Parravicino.
Poi spiegarono le loro forze davanti al castello di Carcano, sempre fedele all’Imperatore poiché in quel tempo il Feudatario di Carcano rivestiva la dignità di Vicario Imperiale.
Vola Federico in soccorso del fedele Vassallo, conduce con sé i manipoli di Boemia, le milizie di Como, Pavia, Novara e Vercelli, i Vassalli del Seprio e della Martesana, il Marchese del Monferrato ed il Conte di Biandrate.
L’esercito imperiale si dispose fra Carcano, Tassera e il piano accerchiando le milizie milanesi.
Con queste stava l’Arcivescovo Uberto da Pirovano che dal Carroccio infiammava i suoi alla pugna.
Però le sorti della battaglia volgevano contrarie ai Milanesi: molti i morti ed i prigionieri, lo stesso Carroccio, caduto nelle mani degli imperiali, era stato disfatto e gettato in un fosso.

Ma un grosso soccorso venuto loro da Erba e da Orsenigo fece ripigliare le smarrite forze, ed andarono contro i nemici in tal modo che inestimabile mortalità ne fu fatta e massimamente delle genti novaresi, delle quali, oltre il gran numero dei prigionieri e dei morti, duemila si misero in fuga. Questo combattimento, noto sotto il nome di battaglia di Tassera accadde il 9 agosto 1160”.
Sempre il Bassi ci fa sapere che “gli avvenimenti della battaglia di Carcano (detta anche di Tassera) la parte presavi dagli uomini di Erba e il conseguente privilegio ed onore della cittadinanza milanese loro concesso dai Consoli e dal Podestà di Milano sono narrati o accennati da pressoché tutti gli scrittori che si occuparono della storia di Milano e del Milanese; da Ottone Morena che scriveva nel secolo XII ed era contemporaneo al Barbarossa, al vivente dott. Alex Visconti, professore dell’università di Ferrara. Qui si faranno solo poche e brevi citazioni.
Lo storico Giorgio Giulini che, scrivendo nella seconda metà del ‘700 poté consultare documenti e scrittori di storia che vanno dal già nominato Morena al Muratori, suo quasi contemporaneo, nella sua voluminosa opera - Memorie spettanti alla storia…della città e della campagna di Milano – ne parla in parecchi luoghi. (…) Bernardino Corio, dopo aver riferito anche lui le vicende della battaglia dice che: un grosso soccorso venuto loro (ai Milanesi) da Orsenigo e da Erba, allora fortissimo castello, fece ripigliare le smarrite forze, e andarono contro i nemici in tal modo che inestimabile mortalità ne fu fatta.
Il Tristano Calco aggiunge che lo stesso Federico si salvò a stento rifugiandosi a Montorfano e poi a Como nel Baradello.
Il Giulini, più avanti, nota: né si dimenticarono (i Milanesi) di ricompensare quelli che nei descritti avvenimenti sì gli avevano ben serviti.
E il Calco: partirono da Carcano, e ritornati a casa pensarono a ricompensare la tanta fede e il tanto valore di coloro che gli avevano sì bene aiutati, e perciò…a quelli di Erba e di Orsenigo, tanto a loro, quanto ai loro posteri concessero la cittadinanza a Milano.
Il Giulini aggiunge che il Calco vide l’originale diploma con cui (i Consoli e il Podestà) vollero premiare i servizi ad essi prestati dagli abitanti di Orsenigo e di Erba, con l’aiuto dei quali si protestavano d’aver riportato la descritta vittoria contro Federico Barbarossa e di essersi impadroniti del suo campo. Per sì grande beneficio la città di Milano accordò ad essi ed ai loro successori gli stessi privilegi che godevano i cittadini milanesi. Ed un tale vantaggio ed onore, confermato poi anche dai principi che signoreggiavano nel nostro paese è goduto anche al dì d’oggi dagli abitanti delle due terre. Si noti che il Giulini morì nel 1780. Qui il Giulini osserva: S’io non mi inganno, è la prima volta in cui vedasi accordata per privilegio la cittadinanza di Milano. Più avanti parla delle successive conferme di tale diritto da parte di Ottone Visconti nel 1277 e di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano – il cui diploma (dice) io conservo presso di me –.

In un documento di Filippo Maria Visconti duca di Milano, riportato integralmente dal canonico D. Venanzio Meroni nella sua storia della pieve d’Incino dopo aver richiamato il primo diploma (del 1160) e ricordati diffusamente gli avvenimenti che l’avevano causato e le successive conferme del 1277, del 1279, del 1280, del 1303, del 1307, del 1351, il duca …ratifica, approva, conferma e di nuovo concede il suddetto diritto. Il documento porta la data del 17 settembre 1412. Il can. Meroni cita inoltre altri decreti di conferma del 1470 e del 1648 (di Filippo IV). Un altro documento pubblicato dallo stesso Meroni e che porta la data del 16 marzo 1647, dice che la Comunità di Erba era aggregata alli cittadini di questa città (Milano) di porta Orientale, Parrocchia di S. Babila. (…)”
La conferma di tale diritto fu fatta da tutti i governi succedutisi in Milano fino alla venuta dei Francesi con Napoleone, che non lo abolì, ma solo lo lasciò cadere in dimenticanza.
Lo stemma della Pieve di Incino nel Codice Araldico del Cremosano (1700) raffigura una rocca con due torri, di color argento, in campo rosso, sormontato da un rampone a quattro braccia di colore nero, il tutto circondato da due gigli fioriti di colore bianco con steli e foglie verdi (studio del prof. Bassi).

L’unico elemento un po’ controverso presente nello stemma è l’ancora: oltre al significato simbolico di cui si è già parlato, che fa propendere a una interpretazione personale dell’architetto Majnoni, non esistono altri collegamenti di questo elemento con avvenimenti della storia locale o richiami al territorio. Si potrebbe anche pensare ad un’evoluzione del rampone dello stemma di Incino. Più di una volta si è proposto di modificare tale elemento, senza però giungere a una decisione.
Un’ultima annotazione da fare è che, sempre secondo il prof. Bassi (che aveva effettuato le sue ricerche presso l’Archivio di Stato) gli altri cinque ex comuni non avevano posseduto un proprio stemma civico.

Un po’ di storia

Lo stemma civico della città di Erba nella sua forma attuale ha origine dall’unione dei due comuni di Erba e Incino avvenuta nel 1906. E’, infatti, subito dopo l’ufficializzazione del suddetto evento, con tutti gli adempimenti burocratici e amministrativi che esso comporta, che sui documenti ufficiali del nuovo comune compare un timbro con i due stemmi insieme, ma ancora separati.

L’unificazione in un solo stemma dei due simboli compare per la prima volta nel 1909 su carta intestata del comune, ma manca di un vero e proprio atto di nascita.
Nella seconda metà degli anni Venti, dopo l’avvento dell’era fascista e al completamento dell’unione di tutti i comuni del Piano d’Erba, lo stemma di Erba-Incino sembra accantonato per fare posto al solo scudo di Erba, dapprima affiancato (nei documenti comunali) dal fascio littorio su scudo tricolore e poi con lo stesso fascio inglobato nello stemma civico, posto nella parte superiore dello scudo.

Questo, chiamiamolo così, ritorno al passato potrebbe essere dovuto (ma è solo un’ipotesi di chi scrive) al fatto che lo stemma civico preesistente, come detto, non ha mai ricevuto un riconoscimento ufficiale dalle

autorità statali (la Consulta Araldica presso la Presidenza del Consiglio) e le autorità locali intenderebbero regolarizzarlo, anche dopo uno studio su un'eventuale forma più rispondente alla storia locale. All’inizio degli anni 30, dalla Consulta Araldica pervengono, a tutti i comuni che non lo abbiano già fatto (fra cui Erba), circolari contenenti l’invito a regolarizzare e ufficializzare lo stemma e il gonfalone comunali (l’art. 1 del D.L. 20 marzo 1924, n. 442 fa divieto assoluto di usare stemmi, emblemi, sigilli, gonfaloni non legalizzati dalla Consulta Araldica del Regno). Lo studio viene affidato al prof. Bassi.
La sua proposta è quella di affiancare allo stemma di Erba quello di un’antica famiglia nobile, quella dei marchesi di Erba o De Herba, che compaiono in questi luoghi fin dal 1100 e da cui discendono personaggi illustri nel Medioevo.

La descrizione araldica dello stemma dei marchesi di Erba è la seguente: “d’argento – al castello di rosso aperto del campo – merlato alla Guelfa – torricellato di due pezzi – fondato sulla pianura erbosa al naturale – con la bordatura composta di rosso e d’argento –col capo d’oro all’aquila di nero coronata del campo” (descrizione tratta da una pubblicazione di G. B. Crollalanza; lo stemma è presente nell’opera Teatro araldico di L. Tettoni e F. Saladini).
La storia di detta famiglia viene così ricostruita dal Bassi:
La più antica famiglia che Erba ricordi come uscita dalla sua Terra, e che ne fu signora prima che si costituisse a libero Comune è la famiglia dei Marchesi di Erba, o De Herba, per segnare l’ortografia che nel medioevo usavasi per nominare il nostro Comune. L’origine di tale famiglia è narrata nel libro: De origine urbis Mediolani, et nobilium familiarum ejus (…) Lo scrittore di questo libro, nella voluminosa e preziosa opera – Teatro Araldico di L. Testoni e F. Saladini - è chiamato il dottissimo Marinone.
La famiglia Di Erba, che verso il ‘700 aggiunse al suo il cognome Odescalchi, facendosi chiamare Erba – Odescalchi dopo che un Alessandro Di Erba ebbe in moglie donna Lucrezia de Odescalchi, sorella del papa Innocenzo XI (eletto nel 1676), ebbe dal secolo XII al XVIII una lunga serie di personaggi che occuparono altissime cariche nelle magistrature del Ducato di Milano e nelle gerarchie della Chiesa: fra gli altri un Benedetto cardinale arcivescovo di Milano e nunzio pontificio in Polonia (1713).
Le notizie di tali illustri personaggi - una trentina - si trovano in un opuscolo, Herbensis Familiae, vulgi, de Herba dicta, apud Insubres florentissimae, fatto stampare nel 1713 da un (…) Johannes de Sitonis de Scotia (…) ed è dedicato appunto al citato cardinale Benedetto, allora nunzio a Varsavia. La copia che ho qui davanti è postillata a mano dallo stesso autore e riporta, pure manoscritta da lui, la lettera di ringraziamento del cardinale. Da questo opuscolo gli autori del Teatro Araldico tolsero le notizie riguardanti la famiglia Erba, aggiungendovi poi quelle posteriori al 1713 fra cui questa : che gli Erba furono riconosciuti marchesi dal Tribunale Araldico di Milano il 23 marzo 1787. (…).

Dalla traduzione di un antico documento datato 12 febbraio 1713 (“Documenti cronologici e genealogici di una famiglia erbese detta volgarmente DI ERBA che fu in altissima considerazione presso i Lombardi”) risulta che:
“ La stessa famiglia Erba, come Ghibellina, nell’anno 1153, dal serenissimo imperatore Federico I° (cioè Federico Barbarossa) ebbe confermati gli antichi privilegi, pìù il diritto di porre l’Aquila Imperiale sulle insegne e sui castelli di suo dominio, e il titolo di “Barone del Sacro Romano Impero” come appare dalla “Cronaca Maggiore” del P. Galvaneo della Fiamma. Inoltre la medesima famiglia Erba nell’anno 1162 è compresa fra quelle 91 famiglie nobili che tentarono di mettere nelle mani del detto Federico I° imperatore, il dominio di Milano, e, insieme con questo, anche l’arcivescovo Uberto I° da Pirovano ch’era presente alla battaglia di Carcano nel 1160 (…)”

La proposta viene accolta dal podestà Airoldi (che scrive: “Ragione di giusto orgoglio dev’essere per Erba ricordare questa illustre famiglia uscita dal suo seno; e perciò il sott. R. Podestà desidera che, come fa Milano che spesso allo stemma dell’antico Comune unisce il Biscione dei suoi Visconti, anche Erba possa, allo stemma guelfo dell’antico Castello, aggiungere quello ghibellino della più illustre sua famiglia.”) e vengono predisposti i documenti per la richiesta di riconoscimento:

A Sua Eccellenza il Capo del Governo
Primo Ministro, Segretario di Stato
presso la Ra Consulta Araldica
Roma

Il sott. Podestà del Comune di Erba ( Prov. Di Como ) fa rispettosa istanza all’E.V. perché voglia compiacersi:
1. di riconoscere il gonfalone = Bianco alla croce di rosso = da antichissimo tempo usato in questo Comune;
2. di concedere l’approvazione dello stemma figurato nell’unito bozzetto, e cioè: - partito, a sinistra, d’argento alla croce di rosso, (come già è in uso nel Comune) – a destra lo stemma dei marchesi Di Erba, famiglia originaria e signora del Comune nell’alto medio – evo; stemma che nel = Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili italiane = di G. B. Di Crollalanza (vol.1° A = K), come nell’opera “Teatro Araldico. ecc. ecc. di L. Tettoni e F. Saladini (vol. 3°) è indicato così: - D’argento, al castello di rosso aperto nel campo, merlato alla guelfa e torricellato di due pezzi, fondato sulla pianura erbosa al naturale, con la bordura composta di rosso e d’argento, col capo d’oro all’aquila di nero coronata del campo.
Confida il sott. che l’E.V. vorrà benevolmente accogliere la presente istanza, e in tale fiducia mira il prescritto deposito £ 10,10 mediante vaglia postale intestato al Cassiere della consulenza Araldica.

Con osservanza

(Minuta di deliberazione)


Comune di Erba
(Provincia di Como)
Il Podestà

Vedute le circolari ripetutamente diramate dall’On. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Amministrativo della Consulta Araldica per invitare i Comuni del Regno a domandare la concessione o il riconoscimento del proprio stemma o del proprio gonfalone,
Considerata l’opportunità che anche il Comune di Erba ottemperi al suddetto invito chiedendo il riconoscimento del proprio gonfalone, già in uso da anni, anzi da secoli, e la concessione di uno stemma che unisca quello già usato dal Comune con quello della famiglia dei marchesi di Erba, originaria e signora del Comune nell’alto medio – evo,
delibera
di domandare, nelle forme prescritte, a S. E. il Capo del Governo il riconoscimento dell’antico gonfalone portante la croce rossa in campo bianco, e la concessione di un stemma: - partito: a sinistra d’argento alla croce di rosso; - e a destra: d’argento, al castello di rosso, aperto nel campo, merlato alla guelfa , torricellato di due pezzi, fondato sulla pianura erbosa al naturale, col la bordura composta di rosso e d’argento, col capo d’oro all’aquila di nero coronata del campo.

Ma, a questo punto, l’iter si interrompe. Non risulta né che il podestà emani alcun atto ufficiale di adozione del nuovo stemma, né che alcuna richiesta parta verso Roma. Presumibilmente, altre questioni decisamente più importanti (la guerra incombe) distolgono l’attenzione da questa.

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo scompare, ovviamente, il fascio littorio (sui primi documenti, la cancellazione è fatta a mano) e, tra il 1948 e il 1949, ritorna lo stemma bipartito nella sua forma attuale.

Bisogna poi attendere il 1954 perché si torni a parlare dello stemma e del gonfalone della città di Erba. L’Airoldi, questa volta in veste di studioso di storia locale, confuta ora la proposta del prof. Bassi di ricordare la famiglia De Herba perché “…i De Herba (o Erba) erano feudatari e se anche alcuni di essi si resero illustri, essi nessun segno tangibile lasciarono al nostro paese che valga d’esser preso in considerazione per un serio ricordo araldico.”.

Non risultano altri tentativi di approfondimento sul tema in questione fino ai giorni nostri né altre proposte di modifica, evidentemente segno del fatto che le amministrazioni succedutesi nel tempo si sono riconosciute tutte nel simbolo della città e ne hanno confermato la sua valenza storica.

L'ARCHIVISTA COMUNALE
Massimo Di Girolamo