Conclusioni
Ultima modifica 5 aprile 2019
Conclusioni
L’idea di ricostruire la storia del comune di Erba negli anni che intercorsero tra la fine del primo conflitto mondiale ed il consolidamento del regime fascista mi è stata suggerita dalla constatazione che nulla ancora era stato scritto di quel periodo, nulla che dimostrasse come anche Erba, nel suo piccolo, fosse stata travolta da quelle trasformazioni politiche, sociali e culturali che allora attraversarono e cambiarono l’Italia. In generale, del ventennio compreso tra le due guerre mondiali, gli storici locali si sono limitati più che altro, se si esclude qualche rara eccezione, a prendere in considerazione gli ultimi anni del regime fascista e poi in particolare il biennio di liberazione con lunghe riflessioni sul fenomeno della “Resistenza”, quanto mai attiva in tutta la provincia lariana. I partigiani delle prealpi comasche furono infatti tra i più intraprendenti nell’opposizione al regime e la cattura dello stesso Mussolini, poi giustiziato nel paesino di Giulino di Mezzegra, mentre cercava di rifugiarsi in Svizzera, consegnò la resistenza comasca, nel bene e nel male, alla storia. Quelle pagine sono state più volte riscritte, così come ampiamente documentati sono gli anni del dominio fascista in tutta la provincia. Tuttavia se si esclude la bibliografia sulla città di Como (ampia ed articolata per tutto il Novecento), del territorio lariano non esistono opere inerenti al periodo immediatamente precedente l’avvento del fascismo, forse meno suggestivo dal punto di vista storiografico ma altamente significativo per la comprensione dei motivi e delle cause che indussero il nostro paese ad abbandonare le istituzioni democratiche e ad instaurare una dittatura di regime. Per quanto riguarda Erba, ad esempio, non v’è alcun testo, saggio od opera di altra natura in grado di affrontare e ricostruire gli anni tumultuosi che seguirono la fine del primo conflitto mondiale. Pochissimi cittadini erbesi, di conseguenza, sono a conoscenza del fatto che la prima amministrazione comunale ispirata ai principi della sinistra costituzionale non fu quella che si insediò in municipio al termine della seconda guerra mondiale, e si ignora che Erba fu, prima ancora che il fascismo irrompesse con tutta la sua forza, una piccola roccaforte socialista all’interno della provincia comasca. I socialisti salirono al potere sull’onda della forte espansione che il movimento conobbe in tutta Italia a seguito del cosiddetto “biennio rosso”, rompendo per la prima volta la consuetudine che voleva alla guida del municipio esponenti delle forze moderate. Durante il loro governo, interrotto dopo soli due anni e mezzo dalle violenze degli squadristi, applicarono alla lettera i principi del primo socialismo, ispirati all’assistenza pubblica, alla solidarietà sociale, ad una migliore perequazione del sistema tributario e al progetto di municipalizzazione che avrebbe strappato ai privati le aziende che offrivano servizi ai cittadini. La giunta Giussani introdusse grandi novità nell’assistenza scolastica e sanitaria, ridisegnando in breve tempo il ruolo del Comune all’interno della comunità. Nel corso del loro breve mandato tuttavia vennero alla luce anche i limiti di una maggioranza consigliare che non aveva alcuna esperienza nel campo amministrativo, che poco sapeva di bilanci e consuntivi e che si trovò presto nel mirino dell’opposizione prima e dei fascisti poi. Le riforme furono applicate e diedero risultati positivi, ma allo stesso tempo la superficialità e la scarsa preparazione degli amministratori socialisti trascinarono le casse comunali nel baratro di un deficit sempre maggiore. Seguendo uno schema che spesso contraddistinse le giunte socialiste alle prime esperienze di governo Giussani e compagni dimostrarono grandi difficoltà nel rapportare la parte politica dei loro programmi a quella amministrativa, e soprattutto durante il primo anno alla guida del comune assunsero ingenuamente un comportamento antipatriottico e provocatorio che fece il gioco dei loro oppositori nel momento in cui mutò la situazione politica nazionale. Se il disavanzo finanziario causato dalla spregiudicata politica assistenziale rimase un dato di fatto che pesò su quello che era il giudizio dell’opinione pubblica erbese nei confronti del governo della prima giunta socialista, è opportuno tuttavia sottolineare quelli che furono i meriti di un gruppo di operai che nel corso di un anno (tra il 1919 e il 1920) avevano di fatto stravolto l’equilibrio politico di una cittadina da sempre guidata dalle forze moderate. La campagna elettorale promossa dai socialisti aveva “svegliato” quella popolazione che manteneva nelle sue tradizioni un carattere prettamente rurale, aveva acceso gli animi con la passione politica, aveva allargato al proletariato la partecipazione alla vita pubblica, riscattando in generale tutta la classe operaia. I socialisti seppero “strappare” ai vecchi amministratori la guida del comune, ma la loro intransigenza politica finì con lo spaventare quei piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa: il cosiddetto “ceto medio”. Ancor prima che il fascismo ponesse fine con la forza al suo mandato la giunta Giussani aveva esaurito la spinta propulsiva ed innovativa che ne aveva sancito la vittoria alle ultime elezioni amministrative. Commercianti, professionisti, medi e piccoli imprenditori cominciavano a manifestare una certa insofferenza verso quei “socialisti dell’ultima ora” che parlavano di Soviet, di Lenin, di rivoluzione. Il fascismo fornì su un piatto d’argento le risposte alle loro preoccupazioni. Quando gli squadristi erbesi indussero la giunta socialista alle dimissioni si ebbe la sensazione che quell’ ”ordine” tanto decantato dalla propaganda fascista fosse stato finalmente ristabilito. In un tempo brevissimo quasi tre anni di amministrazione “rossa” vennero cancellati. Tutte le riforme introdotte dalla giunta Giussani furono abbandonate ed il comune riprese gli indirizzi ed i metodi che ne avevano caratterizzato l’operato prima dell’arrivo dei socialisti. La situazione andò in seguito lentamente normalizzandosi. Coloro che avevano partecipato alla diffusione e all’applicazione del pensiero socialista scomparvero nell’anonimato e la popolazione imparò a convivere e a considerare il fascismo come assetto normale della società, senza possibilità di immaginare alcuna alternativa (anche perché di alternative non ve ne erano, visto che il controllo delle camicie nere sulla città divenne totale). Il periodo che seguì l’abbandono del municipio da parte di Giussani e compagni risultò privo di qualsiasi iniziativa politica: i fascisti governavano e nessuno osava sfidarli. Anche durante il governo dei socialisti la popolazione era rimasta piuttosto passiva di fronte alle vicende che riguardavano l’amministrazione pubblica, ma in quegli anni la vita politica della città si era quantomeno rinvigorita. Popolari, liberali ed infine fascisti avevano osteggiato con ogni mezzo le iniziative dei “rossi” e le cronache locali dei periodici della provincia testimoniano la presenza di un acceso dibattito politico all’interno della comunità erbese. I partiti avevano invaso la città con le loro sedi, i militanti, le organizzazioni sindacali, le bandiere, i canti. Poco importa se gran parte dei cittadini non partecipava attivamente: Erba viveva la “sua” politica e con essa perdeva quel carattere provinciale e rurale impostole dalle ristrette dimensioni. Quando il fascismo salì al potere tutto questo fu spazzato via. La libera partecipazione alla politica venne preclusa. Nei comuni le amministrazioni non vennero più elette democraticamente dalla cittadinanza ma affidate ai podestà imposti dal regime, anche se ad Erba il passaggio al nuovo assetto politico-istituzionale non fu traumatico come in altre parti d’Italia e della provincia lariana. Le intimidazioni delle camicie nere locali infatti non raggiunsero quei livelli di violenza che invece si scatenarono in tutta la penisola. Come reagì la popolazione erbese di fronte a questi grandi cambiamenti ? Se l’avvento dei due partiti di massa, quello popolare e quello socialista, aveva ridestato l’interesse per la politica locale soprattutto di quella parte di cittadinanza che fino a quel momento era stata esclusa dalla partecipazione al governo della città (in primo luogo la classe operaia), il fascismo attirò le attenzioni di quel ceto medio che sarà il vero protagonista della scalata al potere del duce e del suo movimento. Al di là di quella che fu la febbrile attività dei simpatizzanti e dei militanti rossi e neri, tuttavia, è opportuno rilevare come un’ ampia parte di popolazione rimase alquanto indifferente di fronte alle vicende politiche e restò piuttosto legata a quei valori tradizionali che ne avevano scandito la quotidianità durante il corso degli anni precedenti. Valori come la famiglia, il lavoro, la terra, spesso prevalsero negli erbesi sugli ideali politici ed in molti rimasero fuori dalla politica e lontani dai politicanti. Chi si astenne da ogni dibattito e preferì non esporsi accolse con distacco la salita al potere dei socialisti e reagì freddamente quando i fascisti si impossessarono della città. Sicuramente più ampia fu la partecipazione degli erbesi alla causa del duce, ma, considerato il fatto che il regime non concedeva alternative, il consenso al fascismo fu senz’altro legato più a considerazioni di carattere personale che ad un’effettiva assimilazione della sua politica. Per concludere con un giudizio che riassuma in modo esaustivo le due esperienze di governo che caratterizzarono il comune di Erba nei sei anni presi in considerazione credo di non fare torti a nessuno dicendo che entrambi gli schieramenti riuscirono a mobilitare e a costituire un legame viscerale con i propri sostenitori, ma probabilmente nessuno dei due conquistò veramente il cuore di tutta la città.
A cura di Carlo Pirovano, studente universitario neo-laureato erbese