Capitolo I: Il Dopoguerra
Ultima modifica 5 aprile 2019
1.1 Situazione politica e amministrativa nella provincia di Como
Il periodo immediatamente successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale segnò una tappa decisiva nella vita politico-amministrativa di tutta la provincia di Como. Il cosiddetto “Biennio Rosso” , cominciato ufficialmente a Torino il 13 ottobre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai, fu vissuto in maniera particolarmente intensa anche in una provincia in cui la tenuta delle tradizionali forze costituzionali fu molto più netta che in altre parti d’Italia e della stessa Lombardia. La situazione precaria in cui versava tutto il territorio, afflitto da gravi problemi di disoccupazione, riconversione industriale da militare a civile ed il ritorno dei reduci, risvegliò quegli ambienti di sinistra che avevano latitato nel periodo prebellico offuscati dallo strapotere degli schieramenti moderati e democratici.
A Como il primo congresso del partito socialista fu tenuto nel 1897 e vide nascere la Federazione Provinciale Socialista. Nel 1901 veniva costituita dalle Società Operaie di Mutuo Soccorso la Camera del Lavoro, che sostituirà il consolato operaio. Nel decennio successivo fu creata una fitta rete di organizzazioni di lavoratori, con la costituzione di circoli e Cooperative di Consumo. Il 1902 vide l’elezione del primo candidato per la provincia comasca tra le file del partito socialista, Luigi Maria Bossi. Quest’ultimo rimase però un caso isolato, visto che alle politiche del 1913, le prime a suffragio universale , i socialisti non ebbero nemmeno un rappresentante da far sedere in parlamento e dei 9 deputati eletti 6 erano moderati. I cattolici comaschi (almeno fino alla nascita del partito popolare), condivisero con i socialisti il ruolo di spettatori forzati nei primi due decenni del Novecento. Frenati dal “non expedit” del papa, che concedeva loro solamente l’appoggio a candidati liberali qualora non fossero in contrasto con le direttive tracciate dalla chiesa, compensarono la lontananza forzata dalla politica con un’organizzazione capillare in tutto il territorio lariano, cominciata già a partire dal 1890 grazie all’episcopato di monsignor Carlo Andrea Ferrari (1891-1894), la cui opera fu poi proseguita dal vescovo Teodoro Valfrè di Bonzo (1895-1905). In tutta la diocesi sorsero comitati parrocchiali, società di mutuo soccorso, associazioni sportive, scuole diurne e serali, circoli educativi e ricreativi che alla fine del ventennio diventeranno le sedi naturali dell’elettorato popolare di Don Sturzo .
Mentre in numerose parti d’Italia si sperimentavano forme di partecipazione politica che rompevano con la tradizione delle forze costituzionali ( nella vicinissima Milano l’amministrazione socialista della giunta Caldara guidò la città dal 1914 al 1920 ), nella provincia lariana i primi due decenni del secolo videro uno scarsissimo ricambio della rappresentanza amministrativa e parlamentare, costituita per lo più dalle forze moderate e democratiche legate alla proprietà terriera e industriale. Sarà soltanto la Grande Guerra a dare uno scossone alla stabilità politica che aveva caratterizzato fino ad allora il territorio comasco.
Allo scoppio delle ostilità la maggioranza dell’opinione pubblica lariana era schierata su posizioni neutralistiche, ma i mutamenti che si verificarono a livello nazionale ebbero il loro riflesso anche sugli schieramenti comaschi. Dopo che radicali, repubblicani e l’ex direttore dell’“Avanti” Mussolini , avevano assunto una posizione interventista, anche i principali organi di informazione comaschi si schierarono in tal senso: “La Provincia”, i cattolici “L’Ordine” e “La Voce del popolo” ed il socialista “Il Lavoratore Comasco” si dichiararono apertamente a favore della guerra. Nel corso del conflitto però le ripercussioni delle difficoltà economiche a livello nazionale e soprattutto il divario tra rapido aumento del costo della vita e la stagnazione dei salari si fecero pesantemente sentire sulla popolazione, provocando diverse agitazioni e scioperi in tutta la provincia. L’unanimità trovata dalla stampa e dall’opinione pubblica nelle fasi concitate dell’entrata in guerra cominciò a vacillare. Il periodo che seguì la fine delle ostilità fu particolarmente teso e confuso, ripresero le agitazioni operaie e l’organizzazione sindacale divenne protagonista di scioperi e occupazioni. In questo clima di incertezze irruppero sulla scena politica lariana quegli schieramenti che fino a quel momento erano rimasti nell’ombra e che si contenderanno la piazza fino all’avvento del fascismo: i popolari di Don Sturzo e soprattutto i socialisti. La caduta delle forze democratiche con la morte del loro esponente più rappresentativo, Paolo Carcano (1843-1918), aprì le porte ai due partiti di massa che a partire dal 1919 divennero i dominatori indiscussi del panorama politico comasco, seppur con una netta prevalenza dei socialisti (almeno dal punto di vista elettorale). Questi ultimi ripresero la loro attività organizzativa già nell’immediato dopoguerra, mettendosi alla guida di tutte le lotte politiche ed economiche, rifiutando qualsiasi contatto con democratici, riformisti e cattolici. I popolari si dedicarono più intensamente ad una attività di promozione sociale tramite i sindacati cattolici e le leghe bianche, trovandosi spesso ad agire in contrapposizione con i sindacati socialisti. Le elezioni politiche del 16 novembre 1919, che si svolsero col nuovo sistema proporzionale, rispecchiarono fedelmente la nuova situazione che si era venuta a delineare: nel circondario di Como il partito socialista si attestò per la prima volta ai vertici delle preferenze ottenendo 24.157 voti, seguito dal partito popolare (18871) e dai liberal-democratici (16872) . La rottura con la tradizione nello schieramento politico comasco era ormai profonda e l’ascesa al potere dei socialisti coincise con un periodo di forti rivendicazioni sociali. Durante i primi mesi del ’19 diversi furono gli scioperi in tutta la provincia per l’aumento dei salari e la diminuzione dell’orario di lavoro, le operaie entrarono in agitazione contro il carovita e la scarsità di generi alimentari, mentre i contadini scesero in piazza chiedendo nuovi contratti agricoli. Forti dell’appoggio di un proletariato agguerrito ed organizzato minuziosamente nelle leghe di mestiere (cui poco poterono opporsi le leghe cattoliche), i socialisti conquisteranno di fatto gran parte della provincia alle elezioni amministrative del ’20 , riuscendo vittoriosi anche nelle politiche del ’21, per poi soccombere, al pari di tutte le altre forze politiche, sotto la forza dirompente del movimento fascista che tra l’ottobre del ‘22 e l’aprile del ‘24 conquisterà l’intera provincia.
1.1.1 Le elezioni amministrative del 1914 e le politiche del 1919
Il comune di Como, così come la prevalenza dei comuni della provincia, venne retto fino al 1914 da una maggioranza costituita da quegli esponenti democratico-radicali che si rifacevano alla figura di Paolo Carcano, personaggio fondamentale della storia politica, economica e sociale del comasco. Divenuto deputato dopo le elezioni suppletive del 1881, collaborò come capo di vari ministeri dapprima con Crispi e poi con Pelloux, Saracco, Zanardelli, Fortis, Giolitti, Salandra e Boselli. Rieletto sistematicamente ad ogni tornata elettorale, egli seppe mantenere il movimento democratico comasco su posizioni centriste per tutto il corso della sua esistenza, non lesinando qualche piccola apertura a sinistra e accettando tacitamente l’appoggio dei clericali nella prima parte della sua carriera . Alle elezioni amministrative del luglio del 1914, però, si presentò compatto il cosiddetto “partito dell’ordine”, costituito da rappresentanti dall’Associazione Liberale Costituzionale uniti a quelli dell’Unione Elettorale comense, di chiara ispirazione cattolica, nata nel 1909. La nuova destra costituzionalista nacque dal rinnovato connubio liberal-cattolico sotto le spoglie del patto Gentiloni e si propose innanzitutto di controllare l’incognita di un movimento socialista che si affacciava lentamente sul panorama politico lariano. Dopo anni di egemonia democratica, grazie soprattutto all’appoggio dei cattolici, i liberali conquistarono il comune con una netta maggioranza che permise loro di eleggere 32 consiglieri comunali. Al secondo posto, non senza una certa sorpresa, si piazzò il partito socialista, il quale grazie ai suoi 8 rappresentanti eletti costituirà la minoranza consigliare. Netta invece la sconfitta dei democratici, che pagarono le loro ultime posizioni anticlericali, e dei repubblicani. La nuova configurazione del quadro politico venne rispecchiata anche nel consiglio provinciale con l’eccezione di un passo indietro dei socialisti a causa degli esigui voti raccolti dai relativi candidati all’infuori della città. La nuova Camera era composta da 37 costituzionali, 16 tra democratici e radicali e 5 rappresentanti del partito socialista. Con lo scoppio della Grande Guerra e il successivo intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa le consultazioni elettorali vennero sospese. Solo nel 1919 fu possibile constatare quanto la partecipazione al conflitto mondiale con tutto ciò che ne aveva comportato avesse mutato profondamente la situazione italiana. Le politiche del 16 novembre 1919 segnarono, come già accennato nei paragrafi precedenti, l’inizio di un periodo fortemente caratterizzato dalla presenza socialista in tutta la provincia di Como, presenza limitata in alcune aree solo dal nuovo partito popolare. Il collegio di Como-Sondrio diede complessivamente 60714 voti al partito socialista contro i 49734 dei popolari e i 37287 del blocco democratico-liberale. Entrambi i primi due partiti ottennero quattro candidati ciascuno, mentre ai liberal-democratici ne spettarono solo tre. Particolarmente rilevante fu soprattutto il risultato dei socialisti che, rispetto alle politiche del ’13, raddoppiarono i propri voti e conquistarono quattro seggi rispetto all’unico ottenuto in quell’occasione. Protagonista assoluta della tornata elettorale fu la stampa comasca, fortemente agguerrita e divisa ormai in testate “politiche” ben delineate. “Il Lavoratore Comasco”, organo della Federazione Provinciale di Como, così scriveva contro il nascituro partito popolare italiano: “L’ultima schifosa truccatura della pretaglia per arraffare il potere, per dividere le forze proletarie, per ricacciare lo stato moderno in un buio e feroce guelfismo” . Al settimanale socialista rispondevano senza mezzi toni i cattolici de “L’Ordine”, grandi antagonisti dell’ideologia social-comunista, e i moderati del “Corriere delle Prealpi”, seppur con un’impostazione più misurata. La scomparsa del Carcano aveva svilito il movimento democratico e di conseguenza il suo principale organo d’informazione, “La Provincia di Como”. Il quotidiano più venduto del Lario, pur continuando a difendere posizioni genericamente liberali, fece ben presto capire che si sarebbero potute percorrere altre strade. Questi i risultai delle elezioni del 1919:
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Elezioni politiche luglio 1919 – collegio di Como e Sondrio
Socialisti Popolari Democratico-liberali
Circondario di Como 24157 18871 16872
Circondario di Lecco 7550 13864 8402
Circondario di Varese 22690 8422 6112
Provincia di Sondrio 6717 8667 5901
1.1.2 La crisi economica
La crisi economica che l’Italia attraversò nei primi anni del dopoguerra, dovuta essenzialmente allo sforzo bellico e all’instabilità politica che si venne a creare al termine del conflitto, ebbe forti ripercussioni negative anche in tutta la provincia comasca. Diversi contadini, già in difficoltà a causa di lunghi mesi di siccità, si videro ricusare dalla classe padronale i contratti sottoscritti negli anni passati. La mancanza di capitali fece sì che molti fondi fossero venduti agli speculatori senza alcuna preferenza per i coloni dipendenti. Con il lento ma inesorabile rallentamento dell’industria serica comasca, punta di diamante della provincia , anche l’allevamento dei bachi da seta nelle campagne brianzole subì un forte contraccolpo e costrinse numerose famiglie a ripiegare in città. Ancora più drammatica la situazione della classe operaia, colpita dalla disoccupazione e da un caro-vita che non conosceva soste. In un clima di altissima tensione politica e sociale, anche Como e il suo circondario conobbero l’occupazione delle fabbriche nel settembre del ’20. Nonostante la propaganda dei promotori socialisti, però, l’operazione non ottenne il successo sperato. Gli operai si dichiararono fedeli ai sindacati ma non erano nella posizione di poter rischiare il licenziamento: rimanere senza lavoro significava mettere a repentaglio l’intera famiglia. Le stesse maestranze, in molti casi, non poterono che prendere atto della situazione precaria in cui versava l’industria lariana: le richieste erano bloccate, le scorte scarseggiavano e l’imprenditore non poteva incrementare la produzione anche per la continua caduta dei prezzi. Sono questi gli anni in cui si gonfiano le file delle leghe di mestiere socialiste. Per la prima volta, a dispetto di una situazione già collaudata in molte zone del nord-Italia, anche gli operai che vivevano nei piccoli comuni lariani conobbero l’organizzazione sindacale. Vennero istituite quasi ovunque “Camere del Lavoro” locali, si moltiplicarono le organizzazioni di tutela del lavoratore mentre aumentò il numero delle battaglie vinte dalle maestranze contro il patronato nelle industrie più grandi. A fronte di un generale miglioramento nel campo dell’assistenza ai lavoratori, però, la situazione della classe operaia e contadina rimase comunque drammatica fino al 1922. Per averne un quadro indicativo è sufficiente confrontare i dati relativi all’aumento del costo della vita rispetto al salario medio giornaliero di un operaio .
Aumento del costo della vita dal 1914 al 1922 nella provincia di Como
1914 1922
Pane cents. 36 Lit. 1,75 il Kg.
Pasta cents 55 Lit. 2,24 il Kg.
Riso cents. 50 Lit. 1,80 il Kg.
Zucchero Lit. 1,40 Lit. 6,20 il Kg.
Burro Lit. 2,80 Lit. 16,00 il Kg.
Olio Lit. 2,20 Lit. 11,00 il lt.
Lardo Lit. 2,00 Lit. 8,50 il Kg.
Carne (pr. Medio) Lit. 1,80 Lit. 8,00 il Kg.
Latte cents. 20 Lit. 1,30 il lt.
Salumi Lit. 3,50 Lit. 24,00 il Kg.
Uova cents. 10 cents. 70 cad.
Patate cents. 6 cents. 80 il Kg.
Farina bianca cents 25 Lit. 1,10 il Kg.
Vino cents. 3 Lit 2,20 il lt.
Salari operai giornalieri
Anno 1899 Lit. 2,33
Anno 1908 Lit. 2,94
Anno 1909 Lit. 3,33
Anno 1915 Lit. 3,54
Anno 1919 Lit. 8,84
Anno 1920 Lit. 13,95
Anno 1921 Lit. 18,91
Anno 1922 Lit. 19,65
1.2 Il comune di Erba
Anche la cittadina di Erba , come tutta la provincia lariana, visse con trepidazione e fermento i frenetici anni che intercorsero tra la fine della grande guerra e l’avvento del fascismo. Capoluogo di un mandamento tra i più popolosi del comasco, costituito da una ventina di comuni, contava nel 1921 una popolazione di 4718 abitanti comprese le frazioni di Pontenuovo di Stallo e Ferrera . Situata nel cuore del triangolo lariano, esattamente a metà strada tra la città di Como e quella di Lecco, nonché a soli quaranta chilometri da Milano, già nei primi anni del Novecento divenne meta di numerosi villeggianti benestanti di città che sceglievano le sue colline ed i suoi laghi per passarvi le vacanze estive ed autunnali, così come dettava la moda dell’epoca. Con Como era collegata da una tramvia elettrica costruita prima della guerra, mentre per recarsi a Lecco era necessario usufruire del servizio automobilistico a pagamento che prevedeva corse in automobile o in bus. Più efficiente il collegamento con Milano, grazie alla linea ferroviaria delle Ferrovie Nord che permetteva di raggiungere il capoluogo lombardo in poco più di un’ora. Nel giugno del ’22 venne finalmente inaugurato il tratto ferroviario che univa Erba ad Asso, i cui lavori furono iniziati prima della guerra e poi sospesi a causa della stessa. La nuova linea, prolungamento della Milano-Erba, permetteva una più rapida comunicazione tra la il Pian d’Erba e la Valassina, famosa per la produzione di coltelli, forbici e strumenti di precisione in metallo e acciaio. Grazie al nuovo tratto, inoltre, fu possibile, soprattutto per i ricchi possidenti milanesi, raggiungere con più facilità la rinomata cittadina di Bellagio, famosa già all’epoca per la sua incantevole posizione tra i due rami del lago di Como. Crocevia di un sistema di comunicazioni che la poneva al centro di un triangolo industrializzato delimitato dalle città di Milano, Como e Lecco, fino alla prima guerra mondiale Erba non seppe sfruttare la sua posizione decisamente fortunata. Ancora nel 1914 si presentava come un centro essenzialmente rurale all’interno del quale piccole attività artigianali a conduzione familiare stentavano ad ingrandirsi e ad incrementare la produzione. Sul territorio erano già presenti realtà ben più affermate e di grandi dimensioni come il Cotonificio di Pontelambro e la Manifattura Trezzi, entrambe legate all’industria serica, ma fu soprattutto grazie allo slancio prodotto dalla Grande Guerra che la città abbandonò la sua natura agricola. Quando l’amministrazione socialista si insediò in comune nel novembre del 1920, i contadini rappresentavano poco più di un quinto dell’intera popolaziome . Nel centro urbano risiedevano 4512 abitanti, contro i soli 206 in aperta campagna, per un totale di 1070 famiglie contro 30 . I campi disseminati nelle pianura a sud della città, in particolare nella fertile zona delimitata dai laghi di Alserio e Pusiano, erano per lo più coltivati a granoturco, ma nonostante ciò la produzione di farina non riusciva a coprire il fabbisogno del paese . Più redditizio si dimostrava l’allevamento di bestiame, soprattutto bovini e suini, anche perché nella piazza principale si teneva ogni giovedì il mercato del bestiame accanto a quello tradizionale e il primo mercoledì del mese di marzo, agosto e dicembre veniva organizzata una grossa fiera dedicata agli allevatori che richiamava visitatori da tutta la provincia e dalla stessa Milano. Mentre nelle campagne e nelle pianure circostanti le aziende agricole si ridimensionavano e l’agricoltura prendeva lentamente una dimensione prettamente familiare, lo sviluppo industriale favorito dalle grosse commesse statali ai grandi apparati produttivi durante il conflitto favorì il sorgere della piccola impresa nel centro cittadino. La maggior parte della popolazione era costituita da operai, esercenti e professionisti. La classe operaia era particolarmente numerosa e comprendeva sia uomini che donne, con queste ultime impiegate per lo più nel settore manifatturiero legato all’industria serica. Nel 1920 Erba potava annotare tra le sue attività di maggior rendimento diverse filande, segherie, fonderie, tessiture, falegnamerie, concerie e lattonerie , in alcune delle quali il numero dei dipendenti si faceva considerevole. Furono aperti tre sportelli bancari e due agenzie di assicurazioni, e sempre abbondante rimaneva il numero dei caffè, delle osterie e degli alberghi che durante i periodi di villeggiatura facevano affari d’oro. Modesta la presenza in città di istituti scolastici, con una scuola elementare pubblica ed una femminile privata alle quali si aggiunse dopo l’interruzione causata dalla guerra la scuola di disegno professionale diretta dall’ex sindaco Angelo Bassi, cui si deve il merito di averne fortemente sostenuto la riapertura. Pochissimi però potevano permettersi di proseguire gli studi e il diploma o la laurea di un concittadino venivano salutati con grande orgoglio da tutta la popolazione.
1.2.1 Il ceto politico e amministrativo
L’insediamento dell’amministrazione socialista nel novembre del 1920 stravolse di fatto la situazione politica di una città che, in realtà, fino a qualche anno prima di politica non si era mai troppo interessata. Abitata da una popolazione composta per lo più da persone semplici legate alla terra, al lavoro e alla tradizione, Erba rifletteva il suo carattere “provinciale” anche nella scelta degli amministratori del comune. I nomi dei sindaci che sedettero in municipio a partire dall’unità appartengono a personaggi che si distinguevano tra i cittadini per la condizione economica propria o della famiglia di appartenenza o per le qualifiche ottenute attraverso gli studi (e, in più di un caso, per entrambe le cose). I primi cittadini erano sempre scelti tra le persone più in vista, appartenenti al ceto aristocratico o borghese e dotati di almeno un titolo da accompagnare al proprio cognome (conte, ingegnere, professore). Si trattava di uomini che tutto il paese conosceva e ai quali veniva affidata l’amministrazione con incondizionata fiducia, a prescindere dal colore politico per il quale scendevano in campo. Non fecero eccezioni le elezioni amministrative del 1914, anche se sotto il profilo della lotta elettorale qualcosa cominciava a muoversi. La precedente amministrazione era stata guidata da una maggioranza consigliare democratico-radicale legata al movimento politico di Paolo Carcano. Sindaco per il quadriennio 1910-14 era stato eletto Luigi Zappa , ma, a seguito delle dimissioni di quest’ultimo nel 1912, al suo posto subentrò Battista Bartesaghi, figura molto nota in città sia per i suoi precedenti incarichi in municipio sia per il negozio di legnami con annessa segheria di proprietà della famiglia. Nell’amministrazione da ventidue anni, prima per il comune di Incino e poi per quello di Erba dopo la loro fusione, al termine del suo mandato si ripresentò con il blocco democratico-radicale per l’ennesima riconferma. Anche ad Erba, però, come in diversi comuni lariani, si era da poco costituita l’associazione liberale democratica, su esempio di quella di Como, che faceva confluire ai liberali i voti dei cattolici. La nuova realtà politica, che si proponeva di portare una ventata di progresso in una situazione uniforme da anni, attirò le attenzioni di parecchi militanti del vecchio movimento democratico che, in una sorta di trasformismo a dimensione “locale”, passarono dall’altra parte. Inoltre, il timore della guerra e di un’ eventuale partenza per il fronte richiedeva un primo cittadino in grado di “vegliare” sulle famiglie durante la forzata assenza dei soldati. Furono in molti nell’estate del 1914 a chiedere al professor Angelo Bassi di candidarsi per le elezioni di quell’anno, e alla fine il suo nome venne scritto nella lista dei liberal-democratici. Accanto ai due schieramenti “istituzionali”, si presentò infine una sorta di lista civica, denominata Circolo Popolare, costituita da elementi assolutamente inediti per la politica erbese. Tra i promotori dell’esperimento vi era anche il futuro sindaco socialista Giuseppe Giussani . I risultati delle elezioni furono piuttosto scontati. Durante la “campagna elettorale” la nuova associazione liberale aveva ottenuto un forte appoggio dall’unico settimanale politico-economico che si pubblicava in città, “L’Eco della Brianza ”, ma decisivo fu soprattutto il supporto concesso alla candidatura del Bassi da parte dei parroci delle tre parrocchie cittadine. L’amministrazione uscente puntava tutto sull’esperienza dei propri candidati, mirando a mantenere quella tradizione che nell’ultimo quindicennio aveva visto pochissimi cambiamenti all’interno del consiglio comunale. Non si ha invece notizia del programma o degli intenti della nuova formazione civica il cui carattere rimane ambiguo e indecifrabile.
Al termine delle votazioni la lista dei liberali ottenne la maggioranza, i democratici dovettero abbandonare il municipio per rientrarvi in qualità di minoranza e il Circolo Popolare sparì così come era venuto. Nella prima seduta del consiglio comunale il Bassi con votazione unanime venne eletto sindaco per il quadriennio 1914-18: la volontà popolare era stata rispettata. Il nuovo primo cittadino rappresentava una figura storica per tutti gli abitanti di Erba. Da sempre insegnante alla scuola “Volta”, aveva visto crescere tra le aule del vecchio edificio centinaia di giovani ed era presto divenuto “il maestro” della città. La sua scarsa propensione verso la politica lo aveva tenuto lontano dalla vita amministrativa, ma, di fronte a tante richieste, aveva finito per accettare l’incarico di sindaco. Al suo fianco nella guida del comune i soliti nomi della borghesia cittadina che avevano partecipato alla vita amministrativa del comune (tra la maggioranza o l’opposizione) negli anni precedenti, dall’anziano ingegnere Radice Fossati al farmacista Bertarelli.
I compiti di un primo cittadino in una realtà come quella di Erba durante il primo ventennio del Novecento erano essenzialmente di natura tecnica, più che politica, e si riassumevano in quattro funzioni primarie:
1) stesura del bilancio (preventivo e consuntivo);
2) gestione dei lavori pubblici;
3) concessioni di licenze pubbliche di vario genere;
4) nomina delle cariche di associazioni e organi rappresentanti ;
Nel suo lavoro il sindaco era coadiuvato dalla giunta, composta da quattro assessori , e dal segretario comunale , figura onnipresente nella vita municipale. Il consiglio si riuniva una o due volte al mese, salvo convocazioni straordinarie, e deliberava per lo più su questioni di materia economica. Tutto il resto era di competenza della giunta, con l’obbligo di riferire in consiglio ogni decisione presa. Le cariche comunali erano a titolo gratuito e solo a sindaco e assessori erano concesse piccole indennità in qualità di rimborso spese per viaggi e trasferte di lavoro. Le somme richieste andavano comunque inserite in bilancio ed erano quindi sottoposte all’approvazione della Giunta Provinciale Amministrativa. L’organico degli impiegati e salariati dell’ufficio municipale era composto da otto persone, e prevedeva :
1) un segretario comunale (segretario capo)
2) un segretario capo reparto (segretario)
3) un messo scrivano
4) due guardie municipali
5) due stradini
6) un seppellitore
Gli stipendi variavano dalla cospicua retribuzione percepita dal segretario capo (Lit. 7.262), a quella ben più modesta spettante il seppellitore (Lit. 1650) . L’orario d’ufficio dei dipendenti comunali era fissato in quarantadue ore settimanali. Percepivano inoltre un salario fisso dal comune diverse altre figure, come il medico condotto, la levatrice, il veterinario consorziale, il bidello delle scuole, i campanari, i regolatori degli orologi campanili, per un totale di circa una ventina di retribuiti. Diversamente dalla maggior parte dei lavoratori in strutture private, i dipendenti comunali godevano della copertura assicurativa contro infortuni, malattia e morte. Fino all’avvento dei socialisti non esisteva in comune un vero e proprio ufficio tecnico e per i lavori più complicati, come la manutenzione dell’acquedotto, ci si affidava alla saltuaria collaborazione di specialisti nominati dalla giunta.
L’amministrazione del sindaco Bassi, prolungata di due anni a causa della guerra (terminò il suo mandato nel 1920, anziché nel 1918), visse per i primi due terzi della legislatura un’esperienza relativamente tranquilla nonostante il difficile periodo in cui si trovò a guidare il comune. Le difficoltà in cui versava il paese durante il conflitto, unite al dolore per i primi caduti che tornavano dal fronte, stemperò i dissensi con l’opposizione del blocco democratico e la città, di fatto, si strinse attorno al suo primo cittadino. I problemi e le prime vere contestazioni sorsero al termine della guerra, allorché anche ad Erba il movimento socialista mise le proprie radici e si fece promotore di una dura campagna contro l’amministrazione e il ceto borghese che la dirigeva. Proponendosi come valida alternativa alle tradizionali forze costituzionali, con una forma di associazionismo ed organizzazione politica fino ad allora sconosciuta all’infuori delle medie e grandi città, i socialisti riuscirono a riscattare la classe operaia e ad infiammare tutto il proletariato in generale. Divenuto sindaco per il volere della popolazione tutta, ma già di per sé restio a ricoprire una carica che lo obbligava ad una responsabilità di cui avrebbe volentieri fatto a meno, mite nel temperamento e più letterato che uomo politico, il Bassi nell’ultimo periodo del suo mandato manifestò più volte il desiderio di farsi da parte allo scadere della legislatura. Il clima di forte tensione sociale che scoppiò in seguito agli scioperi e all’occupazione delle fabbriche e l’avanzata dei socialisti che mettevano in luce un sistema amministrativo che concedeva pochissimo in campo sociale convinsero il vecchio “maestro” ad abbandonare quel mondo che non gli apparteneva. Alle amministrative del ’20 il Bassi non si ricandidò , provocando lo smembramento di tutta la lista liberale.
1.2.2 Le elezioni politiche del ’19 nel mandamento di Erba
Se nell’intera provincia di Como le politiche del ’19 segnarono l’inizio della scalata al potere da parte dei socialisti, nel mandamento di Erba, dove le novità sopraggiungevano di riflesso e quindi più lentamente, quel novembre significò l’affermazione di due realtà che nel corso di un solo anno di intensa propaganda ne avevano condizionato l’elettorato: il partito popolare e quello socialista. Inizialmente ottenne maggiori consensi il primo, grazie ad una più rapida diffusione dei suoi principi per bocca dei parroci (che non lesinavano interventi politici durante le funzioni religiose) mentre il partito socialista accusava un leggero ritardo nelle zone rurali a causa della sua complessa macchina organizzativa. Le case del popolo stavano sorgendo, così come i circoli e le camere del lavoro, e molti operai erano già organizzati nelle leghe di mestiere, ma la completezza del progetto socialista fu raggiunta solo nella seconda metà del ’20. Ormai in declino invece i democratico-liberali, che avevano progressivamente perso i voti dei cattolici confluiti nel nuovo partito di Don Sturzo. I risultati definitivi per il mandamento di Erba videro proprio quest’ultimo attestarsi al primo posto con 2270 voti, seguito dai socialisti (1950) ed infine dal vecchio partito liberale (1560).
In controtendenza rispetto ai comuni del suo circondario, Erba si dimostrò più ostinata e restia ad accettare l’avvento di nuove forze politiche. Il partito popolare vi aveva aperto ufficialmente una sezione che apriva i battenti al termine delle funzioni religiose. Vi si incrociava spesso il prevosto Don Castoldi ed i parroci delle parrocchie minori che non nascondevano le simpatie verso quel movimento che sapeva conciliare politica e fede cristiana. Forte del sostegno della chiesa, che nella realtà di Erba era pur sempre un’importantissima istituzione, il partito di Don Sturzo ottenne in città la maggioranza con 322 voti . Nonostante i risultati di tutto il collegio ne avessero sancito il declino, ad Erba i democratico-liberali ottennero la seconda piazza con soli undici voti di scarto rispetto ai popolari. Il risultato fu senz’altro da attribuire alla figura del sindaco Bassi cui la popolazione era ancora saldamente legata. Vennero deluse invece le aspettative dei socialisti che ottennero un modesto terzo posto con 189 voti, poco più della metà dei popolari. Come già accennato precedentemente, il progetto socialista era ancora in fase di costruzione, ed Erba non faceva eccezione. Solo nel maggio di quell’anno era stata aperta la sezione locale del partito mentre la campagna di adesione e tesseramento, lanciata immediatamente dopo l’inaugurazione della sede, nel periodo elettorale era ancora nella fase iniziale. Meglio strutturata l’organizzazione delle leghe di mestiere, con segretari e militanti impegnati nel reclutamento di operai sui luoghi di lavoro. Alla manifestazione di Como nel febbraio del ’19 Erba si presentò con i rappresentanti delle quattro leghe costituitesi che comprendevano muratori, tessili, metallurgici e mugnai. Durante il corso dell’anno due importanti battaglie sindacali erano state vinte in favore dei lavoratori erbesi grazie all’intervanto delle leghe : l’aumento della retribuzione per gli operai della manifattura Trezzi e il nuovo contratto strappato dai muratori ai capomastri. In quest’ultimo controversia ebbe un ruolo fondamentale quel Giuseppe Giussani che, fattosi le ossa proprio nelle organizzazioni sindacali, riuscirà a portare in comune i socialisti nel novembre dell’anno successivo.
Elezioni politiche del 16 novembre 1919 nel mandamento di Erba
Democratico-liberali P.Popolare P.Socialista
Albese 99 126 101
Alserio 44 42 59
Anzano 40 52 131
Arcellasco 106 36 78
Buccinigo 22 122 19
Carcano 27 40 45
Casletto 24 112 31
Cassano Albese 19 41 53
Costamasnaga 109 274 117
Crevenna 41 41 5
Erba 313 322 189
Fabbrica D. 26 96 57
Lambrugo 43 30 99
Lezza 22 16 24
Lurago d’Erba 74 126 181
Merone 13 35 57
Mojana 77 36 51
Monguzzo 33 67 91
Nibionno 55 234 98
Orsenigo 71 105 73
Parravicino 39 48 18
Pontelambro 79 33 91
Rogeno 64 85 138
Vill’Albese 120 151 146